Nadia, come è nata l’idea di Perpetual Bridge? Cosa ti ha spinto a creare un progetto che unisce così tanti generi e tecniche artistiche?

Perpetual Bridge è nato come risposta a un bisogno interiore: costruire uno spazio sonoro che potesse contenere i miei diversi linguaggi espressivi. Ho sempre vissuto il suono come un ponte tra mondi — interni ed esterni, antichi e futuri — e ho voluto creare qualcosa che potesse far dialogare elettronica, ambient, minimalismo e contemplazione senza gerarchie. È un progetto che unisce la mia passione per la sperimentazione e il mio interesse profondo per l’elemento rituale e meditativo del suono.

Nel tuo EP UponThe Deep (2021) e nel primo LP pubblicato da Everest Records (2022), si sente una forte fusione tra ambient, sperimentazione e ritmi elettronici. Come descriveresti l’evoluzione del tuo sound in questi lavori?

 L’EP era più intimo e viscerale, quasi un diario notturno. Il primo LP ha preso quella matrice introspettiva e l’ha espansa in una forma più strutturata, dove convivono paesaggi ambient, pulsazioni downtempo e spazi aperti tra il contemplativo e l’immaginario. È stata un’evoluzione naturale, guidata dal desiderio di trovare una narrazione sonora che potesse essere sia libera che coerente. Oggi il mio sound si sta aprendo a nuove texture, più astratte e più crude, ma sempre in dialogo con il silenzio.

Come scegli gli strumenti e le tecnologie che utilizzi nei tuoi progetti? Qual è il ruolo degli strumenti tradizionali rispetto a quelli digitali?

Seguo molto l’intuizione. Mi piace il contrasto tra strumenti antichi e tecnologie recenti. Uso synth, analogici e non, talvolta field recordings, campionatori, ma anche piano, chitarre e voci processate. Per me ogni strumento ha una sua voce emotiva, e l’equilibrio tra analogico e digitale è una questione di alchimia. A volte basta un soffio o un ronzio per aprire un mondo.

Oltre alla musica, crei anche cortometraggi e installazioni audiovisive. Come integri l’elemento visivo nel tuo processo creativo?
 
Per me il suono ha sempre un corrispettivo visivo, anche se non sempre concreto. Lavorare con la luce, con la materia video o con la dimensione performativa è un’estensione naturale del mio linguaggio. Quando creo una traccia, penso anche a un ritmo visivo, a una coreografia di luce o a una texture da far emergere. Spesso le immagini nascono dopo, come eco o come traduzione. Talvolta invece il processo può essere inverso e anche quello ha il suo fascino.

Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione per Perpetual Bridge? Ci sono artisti, filosofie o esperienze che hanno influenzato il tuo lavoro?

Sento una forte connessione con la natura, che per me è come un anfiteatro vivente di suoni. Le mie fonti di ispirazione spaziano dalla filosofia orientale alla fenomenologia esistenziale, passando per esperienze personali intense, sogni ricorrenti e una certa sensibilità per le tematiche care alla fantascienza e alla fisica quantistica. A livello musicale, artisti come Boards of Canada, Brian Eno, Aphex Twin, Air, Chemical Brothers, Massive Attack e Radiohead hanno influenzato profondamente il mio immaginario sonoro.… tutto confluisce nei miei paesaggi sonori.

Come vedi la scena techno ed elettronica ticinese? Cosa pensi che dovrebbe cambiare o migliorare per crescere ulteriormente?

Credo ci sia un’energia sotterranea molto interessante, ma ancora poco visibile. Mancano forse spazi dedicati alla sperimentazione elettronica non convenzionale, luoghi dove il suono possa essere ascoltato anche come esperienza artistica, non solo come intrattenimento. Ci sarebbe bisogno di più rete, più apertura verso forme ibride, più curiosità intergenerazionale.

Hai suonato in festival e location importanti, come il Festival Les Digitales e il Klang Di Roma. Cosa suonerai al prossimo Swiss Electronic Music Festival? Ci puoi anticipare qualcosa sul tuo set?

Preferisco non esprimermi su questa domanda, mi piace poter seguire sentieri diversi e spontanei e basati sullo stato d’animo del momento. Voglio sentirmi libera fino all’ultimo di poter decidere che sentiero prendo e non sentire le aspettattive che potrebbero emergere da un’anticipazione dei miei intenti. Ma credo che sicuramente porterò il frutto del lavoro degli ultimi anni e quindi progetti nuovi.

Collabori spesso con altri artisti o creativi? Come influiscono queste collaborazioni sul tuo processo creativo?

Sì, collaborare è fondamentale. Mi piace andare all’incontro di sensibilità diverse ma affini con artisti di altri generi, discipline, visioni…Ogni collaborazione è un’occasione per decentrarmi, per vedere il mio suono da un altro punto di vista. A volte bastano poche parole per aprire una nuova direzione compositiva.

Come vedi il futuro di Perpetual Bridge? Ci sono nuovi progetti o direzioni artistiche che vorresti esplorare?

Purtroppo il tempo per lavorare ai miei progetti artistici è molto ridotto perché lavoro e ho una famiglia. Quello che per me conta di più è l’essenza del mio progetto, continuare a cercare risonanze, armonie e ponti tra un linguaggio sonoro e visivo e le mie necessità emotive. Lo faccio essenzialmente per trovare un equilibrio tra la mia vita concreta e quella più esistenziale. Finché ne avrò bisogno, continuerò a fare la mia musica.

Qual è il messaggio o l’emozione che speri di trasmettere al pubblico attraverso la tua Musica?
 
Vorrei trasmettere l’amore per i mondi estranei che si possono creare con la musica elettronica, riuscendo a fare immergere chi ascolta a tal punto da non viverli più come estranei. Mi piace condividere il mio gusto per l’esplorazione e l’intensità che anche un solo suono può suscitare nei nostri corpi e nelle nostre emozioni. La muscia guarisce e ci permette, allo stesso tempo, di esplorare nuove sfaccettature del nostro universo simbolico ed emotivo.