Siamo orgogliosi di avere un'intervista con Christian Zingales, appassionato di musica e giornalista italiano per la rivista Blow Up, autore di molti libri come il ricercato volume "Techno".
Christian Zingales, 1972, è nato a Cantù e vive a Como da sempre. Scrive su Blow Up dal 1998 e ha pubblicato diversi libri, "Electronica" (2002), "House Music" (2005), "Italiani brava gente" (2008), "Battiato On The Beach" (2010), "Techno" (2011), "Lucio Battisti - Luci-Oh" (2016), "Prince - The Jamie Starr Scenario" (2018), "Andrea Benedetti Mondo Techno - Christian Zingales Remix" (2018), "Smile - UK 88: The Second Summer Of Love" (2018).
Come è nata la tua passione per la musica elettronica?
Dalla mia passione per la musica, ogni genere di musica. Quando ero bambino o nei primi anni dell’adolescenza ho iniziato ad amare tutti i suoni, dal rock’n’roll alla musica pop fino alle sonorità black. In quella fase di apprendimento ho iniziato a notare tracce new wave con produzione elettronica. Poi, quando è andato tutto fuori controllo e mi sono ritrovato a comprare dischi in modo ossessivo, c’è stata la scoperta degli album classici, quelli realizzati da artisti che hanno mescolato i primi segnali sonori dei pionieri del XX secolo (Edgar Varèse, John Cage, Karlheinz Stockhausen, Raymond Scott, ecc.) con l’arte estetica del pop e del rock. Dischi di divinità dell’elettronica come i Kraftwerk e la Yellow Magic Orchestra, il re dell’ambient Brian Eno, il visionario della disco Giorgio Moroder, i cattivi dell’industrial come Throbbing Gristle, Cabaret Voltaire, Clock DVA. Ed è stato tutto profondo ed eccitante.
Cos’è il techno per te?
Il techno, per il mondo, è stato il passo successivo nel percorso della musica elettronica. È nato dalle persone di colore a Belleville, vicino a Detroit, che sono cresciute ascoltando musica afroamericana come funk, soul e rhythm’n’blues, oltre a synth-pop, electro e italo-disco prodotti da bianchi. Guardavano tutti questi diversi tipi di suoni come un tutt’uno, percependo tutta la musica di culture diverse come un’unica cosa, qualcosa di emozionale e umano. Con drum machine e sintetizzatori economici, hanno creato qualcosa di nuovo da queste influenze. I principali esponenti erano il Trio di Belleville, Juan Atkins, Derrick May e Kevin Saunderson, e come disse Derrick May, questo nuovo suono chiamato techno era qualcosa come “George Clinton e Kraftwerk bloccati in un ascensore”. Una nuova fusione. Da Detroit sono poi arrivati molti altri innovatori, e il suono si è diffuso in tutto il mondo, con persone bianche nel Regno Unito, in Belgio, in Germania e in Italia che hanno iniziato a fare brillanti interpretazioni di una musica che proveniva da menti afroamericane ma aveva molti semi bianchi nel suo DNA.
Quando hai deciso di scrivere il libro "Techno"?
All’epoca avevo già scritto un libro su "House Music", ma "Techno" è stato un progetto epico nella realizzazione, poiché da quando mi hanno chiesto di farlo ci sono voluti alcuni anni di lavoro, assemblando nomi per mettere insieme l’elenco più completo di produttori e poi concentrandomi sulle loro discografie e cercando di raccontare i loro suoni e messaggi nel modo giusto. Alla fine era strutturato in 13 capitoli geografici con centinaia di artisti che, dai più famosi ai più underground, sono stati i maestri della fase classica del techno, i dieci anni in cui il genere ha raccontato la sua storia e ha raggiunto il suo apice espressivo, dal 1985 al 1995.
Il libro "Techno" è fuori stampa da molti anni, possiamo aspettarci una ristampa?
Il libro è uscito nel 2011 ed è andato fuori stampa presto, sì, e so che molte persone stanno cercando di trovarlo di seconda mano ovunque, quindi in tanti lo stanno chiedendo. Posso dire che si sta parlando di una ristampa, magari con aggiunte e nuove parti. Fino ad ora non c’è nulla di ufficiale, anche perché sono un po’ pigro, ma ci stiamo pensando.
Quali sono i tuoi artisti techno preferiti?
Troppi per nominarli tutti! Una buona lista è quella presente nel libro, tantissime persone. Dal già citato Belleville Trio e altri giganti di Detroit come Underground Resistance e Drexciya, agli eroi tedeschi come The Mover e Basic Channel, agli italiani come Lory D e Leo Anibaldi, il ribelle olandese Orlando Voorn, l’Aphex Twin nel Regno Unito, i talenti di Chicago come Robert Armani, Mike Dearborn, DJ Skull, DJ Rush... Sto solo facendo qualche nome, ma sono davvero una legione...
Come vedi il ritorno del vinile?
È una cosa meravigliosa dal punto di vista economico: artisti ed etichette possono avere un ritorno. Ovviamente non è più l’età dell’oro, ma è comunque qualcosa, finalmente. Ed è splendido per tutti gli amanti e collezionisti di vinili. Dal punto di vista tecnico posso dire che sono stato coinvolto fin da bambino, ho 20 mila vinili a casa, ma adesso non cambierei l’usabilità e il suono del digitale, sia quando ascolto un album che quando faccio il DJ. Sono diventato un collezionista di CD (curioso all’inizio e poi fervente), un formato che apparentemente nessuno ama più ma che penso abbia un futuro, ricomprando album classici rimasterizzati ed estesi e cose del genere, e mi piace fare DJ con i CDJ usando sia CD originali che tracce digitali masterizzate su CD-R. Se li usi in modo fisico, senza troppi effetti, i CDJ sono l’evoluzione naturale del vecchio e amato mixaggio su vinile, solo più potenti e diretti.